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Rassegna Stampa

“La lirica non è ostaggio dei sindacati, ma di chi non sa valorizzarla”

  • Venezie Post
  • Katia Favaretto

Pierluigi Filagna, cornista e segretario nazionale del sindacato Fials-Cisal commenta: “L'aumento del 4% dei minimi tabellari del Ccnl non è sufficiente”. E ancora: “Gli scioperi attuali sono contro la manovra finanziaria, che introdurrebbe vincoli soprattutto sull’organico. Le indennità? Hanno giustificazioni pratiche. Ma è l'incapacità di vedere oltre i numeri che impedisce ai sovrintendenti di trasmettere il vero valore dell'arte”

In un’epoca in cui la cultura viene spesso misurata solo in termini di bilancio, i teatri lirici italiani vivono una profonda crisi. Tra rinnovi contrattuali attesi vent’anni, precariato dilagante e una gestione sempre più orientata ai numeri che all’arte, il settore cerca una nuova strada. Ne parliamo con chi la lirica la vive dall’interno, da musicista e sindacalista: Pierluigi Filagna, cornista del Teatro Regio di Torino e segretario generale del Fials-Cisal, un sindacato di derivazione professionale composto da musicisti, artisti del coro, ballerini e tecnici che conoscono dunque per esperienza personale le dinamiche del comparto.

Il recente rinnovo del contratto collettivo nazionale ha segnato una svolta importante per il settore lirico-sinfonico dopo vent’anni di attesa. Potete dirvi ora soddisfatti?
Il rinnovo del contratto collettivo nazionale è arrivato dopo vent’anni di vuoto normativo, un periodo estremamente lungo che ha lasciato il settore in una situazione di stallo. L’ultimo contratto risaliva al 2000, con solo due adeguamenti economici successivi, nel 2003 e nel 2006. Questo nuovo accordo ha portato un aumento del 4% sui minimi tabellari, che si traduce in circa 70 euro al mese lordi per il mio livello, più un contributo una tantum di 250 euro. Dopo due decenni di attesa, è difficile dirsi pienamente soddisfatti di questi risultati.

Dopo gli scioperi legati alle fasi della trattativa contrattuale di circa un anno fa, in queste ultime settimane si sono verificati alcuni nuovi casi legati alla manovra finanziaria. Perché preoccupa le Fondazioni lirico-sinfoniche?
Gli scioperi che hanno interessato i teatri sono stati principalmente due, organizzati dalle confederazioni Cgil e Uil contro la manovra finanziaria, quindi per motivazioni sociali più ampie e non direttamente legate al settore lirico. Ma a preoccupare il comparto è l’articolo 110, in cui è stata introdotta una norma che crea di fatto un blocco parziale del turnover. La legge stabilisce che la spesa per il personale dell’anno precedente può essere reinvestita solo al 75%. In pratica, per semplificare, se per esempio vanno in pensione 100 persone se ne possono riassumere 75.

E questo crea situazioni pericolose?
Sì, se vanno in pensione 100 professori d’orchestra e si vogliono assumere 100 tecnici si può fare, ma il contrario sarebbe impossibile per questione di costi. Il risultato è una contrazione dell’occupazione che appare incomprensibile, considerando che esiste già una legge molto restrittiva per le Fondazioni lirico-sinfoniche, la legge Bonisoli. Quest’ultima prevede che la dotazione organica nei teatri venga presentata ogni tre anni e certificata dalla Corte dei Conti come sostenibile. Ci sono teatri che hanno presentato la dotazione organica due anni fa e sono ancora nel regime di certificazione della Corte dei Conti. Non si comprende quindi perché, a metà di questo periodo, si debba impedire di assumere secondo la dotazione approvata. Poi la domanda che sorge spontanea è: questi soldi risparmiati dalle mancate assunzioni a tempo indeterminato che fine faranno?

Oltre ai contratti a tempo indeterminato, nel mondo della lirica ci sono molte altre figure contrattuali legate alla singola messa in scena. Il tema del precariato è annoso e complesso.

Il precariato nel settore lirico-sinfonico è una realtà che tocca profondamente la vita degli artisti e la qualità delle produzioni. Le direzioni dei teatri e delle orchestre tendono a considerare la loro attività “a produzione”, anche se poi di fatto lavorano 11 mesi l’anno. Questo approccio si manifesta in vari modi, tutti problematici per i lavoratori. Molti teatri fanno contratti per singole produzioni o addirittura per singole giornate. Questo significa che un artista potrebbe vincere un’audizione in una città lontana dalla propria, dover affrontare spese di trasferimento e alloggio, ma essere pagato solo per i giorni effettivi di prova ed esibizione. Ci sono casi in cui un musicista, un corista o un ballerino lavora un giorno sì e uno no, ma deve comunque rimanere in città, sostenendo spese senza guadagnare.

Il presidente di Anfols, Fulvio Macciardi, sosteneva in un’intervista che la flessibilità fosse fondamentale per un teatro lirico, mentre il vero problema era la mancata valorizzazione economica della qualità artistica. Lei cosa ne pensa di questa visione?
È una questione complessa, ma andrebbero considerati entrambi gli aspetti. Se guardiamo a paesi contrattualmente più evoluti come la Germania, loro hanno trovato un equilibrio interessante: lavorano a “servizi”, dove il musicista deve fornire un numero prestabilito di servizi all’anno in cambio di una retribuzione fissa. Un servizio equivale a tre ore di prova o di spettacolo. Ma – ed è questo il punto fondamentale – sono tutti lavoratori stabili con contratti a tempo indeterminato. La stabilità è cruciale per la qualità artistica.

Che cosa intende?
Quando sono entrato al Teatro Regio come cornista, ho dovuto adattare il mio suono a quello della sezione dei corni, siamo in sei. Abbiamo dovuto trovare una sonorità comune, un’identità sonora. Con un organico precario, dove i musicisti cambiano continuamente, questa identità non si può costruire. Il problema è che questa comprensione profonda del valore artistico spesso manca nella classe dirigente amministrativa e politica. Nei Paesi con una cultura musicale più avanzata si comprende l’importanza di avere un’identità sonora e timbrica come ad esempio il “suono dei Berliner” o quello “dei Wiener Philharmoniker”. Da noi, quando chiediamo stabilità per costruire questa identità, viene vista come una pretesa, un privilegio, mentre è un elemento fondamentale per l’eccellenza artistica.

Le indennità riescono a compensare le basse retribuzioni?
Le indennità sono numerose e coprono diversi ambiti del lavoro artistico, ma non sono sufficienti per compensare le basse retribuzioni. Una delle più importanti è l’indennità di strumento, che compensa l’uso dello strumento personale del musicista. A differenza di altri lavori dove gli strumenti sono forniti dal datore di lavoro, i musicisti usano i propri, spesso molto costosi. Per fare un esempio, il mio corno nel 2000 costava circa 6-7 mila euro, oggi ne costa 17 mila. Un violino di qualità può superare i 100 mila euro o anche di più.

Come si giustificano dal punto di vista pratico?
Prendiamo per esempio la tanto discussa indennità Caracalla per le esibizioni all’aperto. Non è un semplice extra per suonare all’aperto, ma compensa i deterioramenti che l’umidità causa agli strumenti. In teatro con l’aria condizionata l’umidità è al 40%, mentre a Roma a luglio può arrivare all’80%. I tamponi degli strumenti a fiato si deteriorano rapidamente, richiedendo costose riparazioni che possono arrivare a 500-700 euro per strumento. L’indennità per l’esecuzione a memoria compensa il tempo extra di preparazione: per preparare un brano con lo spartito servono 5 giorni, a memoria ne servono 15. Purtroppo, queste indennità sono spesso mal comprese dai dirigenti con formazione più amministrativa che artistica.

Quale futuro si augura per il settore lirico-sinfonico e quali riforme sarebbero necessarie per migliorare la situazione?
Quello che serve è una vera rivoluzione culturale che coinvolga sia il Ministero della Cultura che quello dell’Istruzione. La musica dovrebbe entrare nei programmi scolastici non solo come pratica strumentale, ma come cultura. Ogni italiano dovrebbe conoscere Verdi o Puccini come conosce Manzoni, e comprendere come i libretti d’opera siano legati alla letteratura italiana. Nel breve termine, purtroppo, ho poche speranze di cambiamento. I politici tendono a guardare il nostro lavoro solo dal punto di vista economico. È questa incapacità di vedere oltre i numeri che impedisce ai sovrintendenti di trasmettere il vero valore dell’arte.

 

fonte
filagna (fials-cisal)- “la lirica non è ostaggio dei sindacati, ma di chi non sa